venerdì 30 novembre 2012
Due vite per la danza classica
Paola Pallotti e Isabella
Ruzzier (nella foto di Roberto Pistone) sono nate
e cresciute a San Pier
d’Arena e si può ben dire
che abbiano contribuito
ad arricchirla: da vent’anni cuore pulsante dell' A.S.D. Spaziodanza,
si adoperano per trasmettere ai loro allievi la
profonda passione iniziata quando erano bambine. “Ho cominciato a soli otto anni, proprio
in una scuola di San Pier d’Arena” ricorda Paola “e ho capito che
volevo trasformare il mio amore per la danza classica in una professione. Non si può, però, pretendere di insegnare senza solide basi:
per questo dopo gli studi mi sono diplomata, a diciannove anni,
presso l’Accademia Nazionale di Roma, l’unica accademia in Italia
riconosciuta dallo Stato e dal Ministero della Pubblica Istruzione. È
stata dura, siamo in pochi a esserci riusciti”. Anche Isabella ha
seguito un percorso molto lungo: “sono diventata assistente della
mia insegnante a soli diciassette anni e non ho mai smesso di
studiare e di seguire corsi di aggiornamento”. Con la formazione
non si scherza: entrambe sono state infatti in Russia presso l’Accademia Vaganova, alla Scala di Milano e hanno seguito i corsi di
Laura Fanetti sulla propedeutica della danza per i più piccoli, che
“vanno seguiti in modo particolare” continua Ruzzier, “dal punto di
vista ortopedico e psicomotorio”. Dopo tanta fatica, una volta acquisiti i mezzi necessari hanno entrambe deciso di tornare nel quartiere dove sono nate, richiamate da un legame profondo con le proprie
radici. Qui, ventuno anni fa, è nata la prima sede di A.S.D. Spaziodanza in via
Pittaluga e nel marzo 2004 la seconda, in via di Bozzolo, entrambe dal taglio semiprofessionale che preparano gli allievi alla selezione in compagnie italiane ed estere e alle scuole professionali nazionali: la Scala, l’Accademia di Roma, la Scuola del Balletto di Toscana a Firenze e l’Aterballetto di Reggio Emilia. Un piccolo miracolo se
si pensa che queste due donne, allora molto giovani, hanno iniziato
da zero, gestendo in toto l'Associazione e facendola crescere a poco a
poco, con passione e profonda competenza anche nella scelta degli
istruttori collaboratori. “San Pier d’Arena è stata il nostro punto di
partenza: è bello poter tornare per costruire qualcosa che sia dedicato alla crescita artistica degli altri”. La formula è questa: professionalità, ma anche cuore.
mercoledì 28 novembre 2012
Eroi con il Kimono: Karate Kid
In principio era Bruce Lee, l'orgoglio della cina, il Dragone.
Tra un calcio, un urlo animalesco e una mossa rapida e precisa, il Divino Bruce è stato il primo a vergare il libro delle arti marziali cinematografiche.
Poi, nel 1984, lo stesso regista di Rocky - grande tributo cinematografico al ring - decise che era ora di mostrare quanto le arti marziali, nella fattispecie il karate, fossero degne di attenzione; un'attenzione che fino a quel momento, escludendo Bruce Lee, l'America non aveva ancora rivolto a questo mondo antico e affascinante.
A chi John Avildsen decise di affidare lo scettro di nuovo eroe delle arti marziali?
Un mito come Stallone aveva incarnato quello del mondo della boxe, ma un paragone con il Dragone era fuori discussione e un successo simile al suo era davvero impossibile da bissare.
E così il regista decise di ribaltare gli stereotipi, e scelse un ragazzino.
Proprio così, un ragazzino gracile e carino dalle origini italiane: Ralph Macchio. Gli affiancò un anziano signore giapponese dall'aria saggia, Noriyuki "Pat" Morita nel ruolo del mitico Maestro Miyagi, e diede inizio al mito di KARATE KID.
La trama è semplice ma ha conquistato gli adolescenti di allora (tra cui la sottoscritta, che mai avrebbe pensato di finire veramente in una palestra dove le arti marziali hanno un ruolo fondamentale): un ragazzo un po' sfigato vittima di bullismo viene istruito (con metodi originali, per esempio imparare a bloccare i pugni dando e togliendo la cera all'automobile, da cui la celebre citazione "Daniel-san: dai la cera, togli la cera") sulla onorevole arte del Karate, per difendersi dagli energumeni che lo perseguitano.
Inutile ricordare la maestosità del trionfo del nostro Danny LaRusso, che non è soltanto quel che sembra in superficie: non si tratta solo del riscatto di un giovane timido italoamericano, ma della vittoria della filosofia sulla violenza, della concordia sulla prepotenza.
Sì lo so, a questo punto vi aspettereste che io dica che l'amore vince sull'odio, ma certe cose non si dicono: si fanno solo funzionare.
Tra un calcio, un urlo animalesco e una mossa rapida e precisa, il Divino Bruce è stato il primo a vergare il libro delle arti marziali cinematografiche.
Poi, nel 1984, lo stesso regista di Rocky - grande tributo cinematografico al ring - decise che era ora di mostrare quanto le arti marziali, nella fattispecie il karate, fossero degne di attenzione; un'attenzione che fino a quel momento, escludendo Bruce Lee, l'America non aveva ancora rivolto a questo mondo antico e affascinante.
A chi John Avildsen decise di affidare lo scettro di nuovo eroe delle arti marziali?
Un mito come Stallone aveva incarnato quello del mondo della boxe, ma un paragone con il Dragone era fuori discussione e un successo simile al suo era davvero impossibile da bissare.
E così il regista decise di ribaltare gli stereotipi, e scelse un ragazzino.
Proprio così, un ragazzino gracile e carino dalle origini italiane: Ralph Macchio. Gli affiancò un anziano signore giapponese dall'aria saggia, Noriyuki "Pat" Morita nel ruolo del mitico Maestro Miyagi, e diede inizio al mito di KARATE KID.
La trama è semplice ma ha conquistato gli adolescenti di allora (tra cui la sottoscritta, che mai avrebbe pensato di finire veramente in una palestra dove le arti marziali hanno un ruolo fondamentale): un ragazzo un po' sfigato vittima di bullismo viene istruito (con metodi originali, per esempio imparare a bloccare i pugni dando e togliendo la cera all'automobile, da cui la celebre citazione "Daniel-san: dai la cera, togli la cera") sulla onorevole arte del Karate, per difendersi dagli energumeni che lo perseguitano.
Inutile ricordare la maestosità del trionfo del nostro Danny LaRusso, che non è soltanto quel che sembra in superficie: non si tratta solo del riscatto di un giovane timido italoamericano, ma della vittoria della filosofia sulla violenza, della concordia sulla prepotenza.
Sì lo so, a questo punto vi aspettereste che io dica che l'amore vince sull'odio, ma certe cose non si dicono: si fanno solo funzionare.
martedì 27 novembre 2012
Come un lampo di vita, come un pazzo gridar
Chi ha detto che le fiabe non esistono?
C'è un luogo senza spazio né tempo, lontano ma anche più vicino di quanto immaginiamo, in cui saltimbanchi, ballerine e clown animano le notti di luna piena e regalano ai bambini sogni scritti in libri di carta di stelle, vergati con inchiostro lunare.
Questo luogo è stato fortemente voluto da un poeta, un omino che del ballo e dell'arte aveva fatto la sua vita.
Guy Laliberté, si chiamava, ed era cresciuto guardando il cielo, con la voglia di spiccare il volo e salire in alto, in alto, e lasciarsi andare.
Era il 1984, quando ancora non esistevano né iPhone né Playstation, e i bambini sognavano ancora a occhi aperti, perché la fiaba se la dovevano immaginare per viverla, altrimenti non appariva.
A Montreal, in Canada, questo omino che si chiamava Guy Laliberté un giorno decise che il suo sogno poteva diventare la fiaba perfetta per tutti coloro che, grandi e piccini, avessero avuto un cuore innocente. E così, nacque il Cirque du Soleil, il Circo del Sole, giocando sull'equivoco cerchio-circo (in francese cercle-cirque).
Non ci sono animali in questo circo, e i pagliacci hanno un ruolo marginale: al centro dello spettacolo ci sono i 3800 artisti che animano gli 8 spettacoli in tournée e i restanti 9 stabili nelle città di Montreal, Las Vegas - dove sono allestiti 6 spettacoli permanenti -, a New York, Orlando, Macao e di recente anche a Dubai e Singapore.
Ogni spettacolo è una piccola fiaba: ha un inizio, un nucleo e una conclusione, racconta qualcosa, e lo fa con un linguaggio inventato, per questo magico, con la danza, le acrobazie da saltimbanchi e la musica. Spettacolari salti nel vuoto, contorsioniste che paiono disegnare curve nell'aria con il proprio corpo, bambini straordinari, con doni e talenti incredibili: gli artisti del Cirque sembrano irreali, da tanto sono perfetti e meravigliosi, non sono umani: sono creature magiche.
Non li vedremo durante l'inverno: come le fate e i folletti, gli artisti del Cirque si svegliano con la primavera, e animano di fantasia le città ingrigite dalla passata fredda stagione.
Non a caso, piccoli folletti e fatine, chiudiamo i nostri (e vostri!) saggi di fine anno con le loro voci.
C'è un luogo senza spazio né tempo, lontano ma anche più vicino di quanto immaginiamo, in cui saltimbanchi, ballerine e clown animano le notti di luna piena e regalano ai bambini sogni scritti in libri di carta di stelle, vergati con inchiostro lunare.
Questo luogo è stato fortemente voluto da un poeta, un omino che del ballo e dell'arte aveva fatto la sua vita.
Guy Laliberté, si chiamava, ed era cresciuto guardando il cielo, con la voglia di spiccare il volo e salire in alto, in alto, e lasciarsi andare.
Era il 1984, quando ancora non esistevano né iPhone né Playstation, e i bambini sognavano ancora a occhi aperti, perché la fiaba se la dovevano immaginare per viverla, altrimenti non appariva.
A Montreal, in Canada, questo omino che si chiamava Guy Laliberté un giorno decise che il suo sogno poteva diventare la fiaba perfetta per tutti coloro che, grandi e piccini, avessero avuto un cuore innocente. E così, nacque il Cirque du Soleil, il Circo del Sole, giocando sull'equivoco cerchio-circo (in francese cercle-cirque).
Non ci sono animali in questo circo, e i pagliacci hanno un ruolo marginale: al centro dello spettacolo ci sono i 3800 artisti che animano gli 8 spettacoli in tournée e i restanti 9 stabili nelle città di Montreal, Las Vegas - dove sono allestiti 6 spettacoli permanenti -, a New York, Orlando, Macao e di recente anche a Dubai e Singapore.
Ogni spettacolo è una piccola fiaba: ha un inizio, un nucleo e una conclusione, racconta qualcosa, e lo fa con un linguaggio inventato, per questo magico, con la danza, le acrobazie da saltimbanchi e la musica. Spettacolari salti nel vuoto, contorsioniste che paiono disegnare curve nell'aria con il proprio corpo, bambini straordinari, con doni e talenti incredibili: gli artisti del Cirque sembrano irreali, da tanto sono perfetti e meravigliosi, non sono umani: sono creature magiche.
Non li vedremo durante l'inverno: come le fate e i folletti, gli artisti del Cirque si svegliano con la primavera, e animano di fantasia le città ingrigite dalla passata fredda stagione.
Non a caso, piccoli folletti e fatine, chiudiamo i nostri (e vostri!) saggi di fine anno con le loro voci.
lunedì 26 novembre 2012
Bajanà primo al concorso "I giovani per la C.R.I."!
il gruppo di scalmanati "Bajanà"! |
Il nostro affetto e la nostra soddisfazione vanno ai nostri ragazzi, ma vorremmo esprimere al corpo della Croce Rossa, la cui storia risale al 1864, la nostra gratitudine, per ogni volta in cui hanno assistito malati e feriti, persone bisognose, persone povere, e sole. Senza il lavoro di questi coraggiosi volontari la nostra società perderebbe in termini di civiltà. Instancabili, non conoscono riposo, non conoscono pretese; fanno il loro lavoro con dedizione spinti dalla consapevolezza che è importante e fondamentale per il paese.
Siamo felici di avere avuto l'opportunità, nel nostro piccolo, di poter contribuire con la nostra partecipazione al sostegno della Croce Rossa... e felici che i nostri bambini si siano dati tanto da fare!
venerdì 23 novembre 2012
Le interviste: 3 La ricerca corporea di Olivia Giovannini
Olivia è una ragazza minuta, apparentemente fragile per via
del fisico da ballerina, ma è un’artista caparbia, decisa e sempre in
discussione. “Ho iniziato a studiare balletto
classico da piccola, ma il mio amore è da sempre la danza contemporanea: seguivo
i corsi di Nicoletta Bernardini e avevo prove ogni giorno, ma ero
felice di dedicare tutta me stessa alla mia passione” racconta Olivia. Questa
pulsione che alberga nel sangue è impossibile ignorarla: “presto mi sono spostata in giro per l’italia per frequentare laboratori
e seminari con Ornella D’Agostino, una ballerina che aveva un gruppo di
formazione sul contemporaneo, e più tardi ho incontrato Michele Di Stefano,
meglio conosciuto come ‘MK’, che è anche il nome della sua compagnia. Con il loro
gruppo di ricerca sperimentale ‘Acquario’ ho iniziato una collaborazione molto
fruttuosa tra Milano, Bologna e Ravenna”. Ma Olivia ha sete di
approfondire, e intraprende anche un percorso universitario parallelo coerente
con la sua passione per la danza: si laurea infatti al D.A.M.S. di Torino con
una tesi dedicata proprio alla compagnia MK. “Questa disciplina ha cambiato la mia vita: è molto più vicina all’arte
contemporanea che al teatro come molti potrebbero pensare, ed è in continua
evoluzione”. Lo dimostra il successo di “Alice Mixdown”, progetto di Olivia
in collaborazione con il dotato illustratore e ballerino genovese Cristiano
Baricelli, rappresentato tempo fa al Teatro dell’Archivolto: “si tratta di un piccolo lavoro sul
Bianconiglio, ma è anche una ricerca espressiva su movimento e relazione del
corpo nello spazio. All’Archivolto mi muovevo su un palco dove però poteva sedere
anche parte del pubblico; a Torino ero in vetrina, su un divano, e tentavo di
catturare l’attenzione dell’impassibile Baricelli seduto accanto a me; a Roma,
invece, abbiamo lavorato in un appartamento: a seconda della location anche
l’opera cambia, si adatta, si trasforma.” Così come il progetto ‘P.P-P. 4.2’,
che vede Olivia nei panni di un i-pod vivente: “io indosso delle cuffie e le persone possono scegliere la musica sulla
quale io, poi, comincio a ballare”. Una ricerca artistica continua che
Giovannini porta avanti con il progetto S.A.N., nato per questo scopo: perché
danzare significa anche modificare e creare nuove dimensioni.
giovedì 22 novembre 2012
In punta di piedi
La prima domanda che mi sento fare dalle bimbe che studiano danza classica, è "ma quando le mettiamo le punte???"
Si sa, la scarpa in sé è territorio femminile: magnifica ossessione, oggetto magico in grado di rapire l'immaginario di qualunque fanciulla, a qualsiasi età. Ma questa volta non parleremo del meraviglioso incantesimo della calzatura, ma di pura funzionalità, e di eleganza.
Il ballo sulle punte è territorio rosa, ma non da sempre: in qualche caso i ballerini maschi studiano in punta, e il motivo va ricercato nel tentativo di rafforzare il collo del piede e le caviglie; nulla ha a che vedere con il movimento carezzevole e delicato della donna, la sinuosità del gesto appena percepito, il piccolo dolce passo silenzioso della danzatrice.
Tuttavia, bisogna attendere il XX° secolo per consacrare la scarpetta da ballo come esclusiva femminile. Da questo momento in poi si differenziano anche i diversi tipi di scarpetta a punta: quella occidentale, con lacci predisposti a regolare il collo della scarpa e una mascherina a base larga, e quella russa, con la mascherina più stretta, e senza lacci.
Solo una cosa, è sempre rimasta tale e quale nei secoli: la gioia di ballare, e quella di chi ha il privilegio di osservare quella gioia che è in equilibrio sulle punte.
La scarpa da punta europea |
Il ballo sulle punte è territorio rosa, ma non da sempre: in qualche caso i ballerini maschi studiano in punta, e il motivo va ricercato nel tentativo di rafforzare il collo del piede e le caviglie; nulla ha a che vedere con il movimento carezzevole e delicato della donna, la sinuosità del gesto appena percepito, il piccolo dolce passo silenzioso della danzatrice.
la scarpa da punta russa |
Solo una cosa, è sempre rimasta tale e quale nei secoli: la gioia di ballare, e quella di chi ha il privilegio di osservare quella gioia che è in equilibrio sulle punte.
mercoledì 21 novembre 2012
Pilates, chi era costui?
"Buondì, vorrei avere informazioni sul corso di PAILEITS".
"Salve, ho sentito che da queste parti fate PILAT'"
"Mi piacerebbe molto fare PILATS"
Eh lo so, mica ve la rendiamo facile la vita: quest'anno poi, che abbiamo anche il QI GONG (pron. CI KUNG) immagino che i pensierini verso di noi siano tutti di natura tenera e amorosa.
Ma giuro, non è colpa nostra, anzi: è proprio per evitarvi l'imbarazzo di cui sopra che abbiamo deciso di raccontarvi un po' meglio come mai questa famosa attività ginnica assimilabile allo stretching (ma molto più efficace) possiede un nome così strano.
JOSEPH PILATES (pron. Pilàtes!), si chiamava proprio così: era di origine greco-tedesca, nato a Düsseldorf nel 1883. Questo signore è stato la prova vivente che a volte la sfida contro la propria natura non è affatto persa in partenza, anzi, è molto gustosa: da piccolo, infatti, il piccolo Joseph era tutto il contrario di un atleta prestante; affetto da rachitismo, cagionevole di salute perché soggetto a febbri reumatiche, non si poteva certo immaginare che avrebbe rivoluzionato il mondo del fitness.
Suo padre era però un ginnasta di fama, e la mamma una valente naturopata. Joseph crebbe, dunque, con i concetti di "rispetto del proprio corpo" e di "metodo naturale" impressi nei geni. Il resto lo fece il desiderio di superare i propri limiti fisici e sconfiggere le malattie che lo rendevano oggetto di scherno agli occhi dei compagni di scuola e degli estranei. Un giorno si alzò, si guardò allo specchio, fece un bel respiro e iniziò un lungo percorso di riscatto, studiando culturismo, sci e tuffo. Partì - come si dice in gergo - "a testa bassa", insomma.
Nel 1912 si trasferì in Inghilterra, e durante la prima guerra mondiale si ritrovò in un campo di prigionia tedesco, dove - anziché disperarsi - mise a punto ancora di più le sue tecniche per rafforzare il fisico e, c'è da scommetterci, anche la psiche.
La grande conoscenza dell'anatomia umana, unita allo studio del movimento muscolare, lo portò a mettere a punto il metodo che assunse il suo nome, ed egli stesso iniziò a insegnare ai più grandi ballerini della storia della danza, come Marta Graham e George Balanchine.
Uno come Pilates, nato fragile come vetro e diventato indistruttibile come l'acciaio, forse doveva tutto alla sua forza interiore, che non smise mai di infondere anche nel prossimo: tra le sue ultime invenzioni ricordiamo un macchinario speciale, atto a consentire anche ai malati immobilizzati a letto di esercitarsi.
Un personaggio così, ne converrete, difficilmente poteva rimanere ignorato dalla storia.
"Salve, ho sentito che da queste parti fate PILAT'"
"Mi piacerebbe molto fare PILATS"
Eh lo so, mica ve la rendiamo facile la vita: quest'anno poi, che abbiamo anche il QI GONG (pron. CI KUNG) immagino che i pensierini verso di noi siano tutti di natura tenera e amorosa.
Ma giuro, non è colpa nostra, anzi: è proprio per evitarvi l'imbarazzo di cui sopra che abbiamo deciso di raccontarvi un po' meglio come mai questa famosa attività ginnica assimilabile allo stretching (ma molto più efficace) possiede un nome così strano.
JOSEPH PILATES (pron. Pilàtes!), si chiamava proprio così: era di origine greco-tedesca, nato a Düsseldorf nel 1883. Questo signore è stato la prova vivente che a volte la sfida contro la propria natura non è affatto persa in partenza, anzi, è molto gustosa: da piccolo, infatti, il piccolo Joseph era tutto il contrario di un atleta prestante; affetto da rachitismo, cagionevole di salute perché soggetto a febbri reumatiche, non si poteva certo immaginare che avrebbe rivoluzionato il mondo del fitness.
Suo padre era però un ginnasta di fama, e la mamma una valente naturopata. Joseph crebbe, dunque, con i concetti di "rispetto del proprio corpo" e di "metodo naturale" impressi nei geni. Il resto lo fece il desiderio di superare i propri limiti fisici e sconfiggere le malattie che lo rendevano oggetto di scherno agli occhi dei compagni di scuola e degli estranei. Un giorno si alzò, si guardò allo specchio, fece un bel respiro e iniziò un lungo percorso di riscatto, studiando culturismo, sci e tuffo. Partì - come si dice in gergo - "a testa bassa", insomma.
Nel 1912 si trasferì in Inghilterra, e durante la prima guerra mondiale si ritrovò in un campo di prigionia tedesco, dove - anziché disperarsi - mise a punto ancora di più le sue tecniche per rafforzare il fisico e, c'è da scommetterci, anche la psiche.
La grande conoscenza dell'anatomia umana, unita allo studio del movimento muscolare, lo portò a mettere a punto il metodo che assunse il suo nome, ed egli stesso iniziò a insegnare ai più grandi ballerini della storia della danza, come Marta Graham e George Balanchine.
Uno come Pilates, nato fragile come vetro e diventato indistruttibile come l'acciaio, forse doveva tutto alla sua forza interiore, che non smise mai di infondere anche nel prossimo: tra le sue ultime invenzioni ricordiamo un macchinario speciale, atto a consentire anche ai malati immobilizzati a letto di esercitarsi.
Un personaggio così, ne converrete, difficilmente poteva rimanere ignorato dalla storia.
martedì 20 novembre 2012
Vieni che te lo spiego: Il Saggio Spettacolo
Una bella foto scattata durante il saggio spettacolo di fine anno: Alegrìa! |
Il Saggio Spettacolo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è forse il momento più importante di tutto il percorso didattico: è la resa dei conti, la vera "prova" che conferma i progressi ottenuti e rafforza ciò che si è appreso durante le lezioni. Per chi ha il sogno di diventare un ballerino, il momento dell'esibizione è chiaramente quello più agognato, il motivo di tanta fatica.
"Sì, ma mia/o figlia/o non viene a lezione con la prospettiva di danzare per professione, vuole solo divertirsi", qualcuno obietterà.
Eppure siamo convinte all'unanimità, maestre e segretarie, che sia comunque importante, nell'economia dell'insegnamento di qualunque cosa, la "prova" finale. A nessuno di voi, immagino, verrebbe mai in mente di mettere in discussione le interrogazioni, o gli esami dei vostri figli. Eppure, al di là della constatazione da parte dei docenti di quanto il ragazzo o la ragazza abbiano appreso, nella verifica delle conoscenze c'è qualcosa di molto più importante, che si traduce con il rafforzamento della sicurezza dei vostri figli, della loro capacità di aggirare gli ostacoli, di superarli e di costruire la propria identità.
Un esame qualsiasi ha anche questo effetto: permette di crescere e diventare adulti forti, lucidi, che non temono di esporsi e affermare le proprie idee.
Il saggio è un esame vero e proprio sulla danza, senza voto esplicito. Il suo fine è -sì - mostrare alle famiglie quanto il nostro lavoro e quello dei ragazzi sia stato serio durante l'anno scolastico, ma anche e soprattutto consentire loro di acquisire disinvoltura davanti a un pubblico, su un palco, quando tutta l'attenzione è concentrata su di sé.
Guardate che non è così facile. Eppure, serve tantissimo a farli sciogliere, ad abbattere i muri che alcuni di loro costruiscono per proteggersi dalla realtà. Li aiuta, seppure indirettamente, a fronteggiare la vita.
Sbucciarsi le ginocchia non è importante, se alla fine si impara ad andare in bicicletta. E poi, una volta imparato, garantito che non si sbucceranno più! :)
lunedì 19 novembre 2012
Se le parole non bastano.
Oggi non è una giornata in cui ci sentiamo di scrivere sulle vite di ballerini famosi.
Oggi le parole non sono sufficienti, e tuttavia vogliamo scrivere di vita: della vita di una giovane che aveva la danza nell'anima. Della vita e del sorriso, della forza e della determinazione di un cuore colmo di arte.
Ci sono sogni che si spezzano perché qualcuno, qualcosa, o forse il caso, lo decide all'improvviso.
Succede così, di punto in bianco, e ha il sapore amaro di un'ingiustizia irreparabile.
Oggi le parole non bastano, anche se vorrebbero tentare di colmare, almeno in piccola parte, il vuoto nei cuori della famiglia, dei maestri, delle compagne della piccola Martina Bozzano di Immagine Danza, che ieri si è spenta all'improvviso, davanti agli occhi degli amici e degli insegnanti, sconvolti.
Oggi, le parole suonano inutili.
Oggi, possiamo solo dire addio, e rimanere in silenzio.
Oggi le parole non sono sufficienti, e tuttavia vogliamo scrivere di vita: della vita di una giovane che aveva la danza nell'anima. Della vita e del sorriso, della forza e della determinazione di un cuore colmo di arte.
Ci sono sogni che si spezzano perché qualcuno, qualcosa, o forse il caso, lo decide all'improvviso.
Succede così, di punto in bianco, e ha il sapore amaro di un'ingiustizia irreparabile.
Oggi le parole non bastano, anche se vorrebbero tentare di colmare, almeno in piccola parte, il vuoto nei cuori della famiglia, dei maestri, delle compagne della piccola Martina Bozzano di Immagine Danza, che ieri si è spenta all'improvviso, davanti agli occhi degli amici e degli insegnanti, sconvolti.
Oggi, le parole suonano inutili.
Oggi, possiamo solo dire addio, e rimanere in silenzio.
venerdì 16 novembre 2012
Il Musical: "Fame"
No davvero: il brivido che i miei coetanei provano quando sentono iniziare i brani che avete appena ascoltato nel videotrailer ne è la prova:
"Fame" è un autentico capolavoro cinematografico del 1980, dal quale si è sviluppata una seguitissima serie tv e un remake datato 2009; una pietra miliare, un film-evento, e la celebrazione dell'arte in tutte le sue forme. Non banalmente un musical, ma un'autentica bibbia per i giovani che all'epoca tentavano di farsi strada nel mondo dello spettacolo.
Leroy e Coco |
La prima regia è affidata ad Alan Parker, e alcune delle parti da lui selezionate per la pellicola saranno interpretate dagli stessi attori anche nella serie televisiva; I personaggi sono pressappoco gli stessi, con pochissime modifiche rispetto all'originale.
Debbie Allen alias Lydia Grant |
Questo è un buon esempio cinematografico: è metateatro, teatro che parla di sé come lo era già stato "A Chorus Line", ma esteso a tutte le discipline artistiche. È ispirazione, è entusiasmo, è passione: l'ingrediente, il solo, che non può mancare a un artista completo.
Ed è vero, è studiando e lavorando duro, che tutto ha inizio: "Qui, si comincia a pagare: col sudore."
giovedì 15 novembre 2012
Vieni che te lo spiego: il JU JITSU
Il Maestro Alfredo Fazio collabora con ASD Spaziodanza da più di vent'anni come istruttore di Ju Jitsu, con i grandi risultati che avete potuto leggere anche su queste pagine. Ma cos'è davvero il Ju Jitsu, e perché è una disciplina che piace tanto ai nostri bambini?
Per capire meglio è necessario fornire un approfondimento dettagliato.
Per capire meglio è necessario fornire un approfondimento dettagliato.
I nostri corsi, come saprete, sono suddivisi in tre livelli:
un primo livello, una o due volte a
settimana, è dedicato ai piccoli a partire dai 3 anni fino alla scuola media;
attraverso il gioco i più piccini apprendono le prime fasi di questa complessa
e affascinante disciplina giapponese; si tratta di una fase ludica, che però
getta le prime basi per una crescita che continua a partire dalle scuole medie
in su.
Il secondo livello infatti,
che va dalla prima alla terza media, aumenta l’impegno necessario a chi
desidera imparare meglio e più approfonditamente l’arte del ju jitsu in forma
agonistica, e culmina nel terzo livello avanzato, a partire dalla prima liceo,
che prevede allenamenti più strutturati e impegnativi in vista della
partecipazione a gare nazionali e internazionali.
Questo anno sportivo appena trascorso, per gli atleti agonisti della squadra Spaziodanza, è stato molto
proficuo ma altrettanto duro: ben otto convocazioni nella Nazionale Italiana,
risultati eccellenti per molti di loro, conseguiti attraverso un impegno
costante anche extrascolastico, fatto di grandi sacrifici se pensiamo alla loro
giovane età.
Gli allenamenti previsti
per chi vuole diventare agonista contemplano le otto ore e mezza a settimana,
più eventuali allenamenti ulteriori fuori orario di lezione dedicati alla
preparazione, fisica e psichica, delle gare più importanti del calendario.
Tre proposte di allenamento, dunque, che vanno dal dilettantismo
alla preparazione agonistica professionista.
Tra le tecniche utilizzate, ecco quelle fondamentali:
La pratica delle CADUTE
è uno degli esercizi base più importanti; una tecnica mirata a ridurre al
minimo l’impatto al quale è sottoposto il praticante sia quando cade
spontaneamente sia in seguito a una proiezione.
Si dice ACCADEMIA,
invece, lo scambio di tecniche acrobatiche tra gli atleti, durante il quale
essi mettono a dura prova la loro preparazione fisica e la capacità di
controllo delle tecniche volanti.
L’AUTODIFESA o DIFESA
PERSONALE, si basa sullo sfruttamento del movimento dell’aggressore al fine
di trasformare un attacco in una difesa efficace e risolutiva.
Il FIGHTING SYSTEM
è un combattimento libero dove sono utilizzati calci e pugni, lotta corpo a
corpo in piedi e in terra con leve al gomito e strangolamenti. Questa è la tecnica in cui i nostri agonisti
hanno dato il meglio durante le gare ufficiali internazionali e nazionali.
mercoledì 14 novembre 2012
Dal Video Clip alla pista da ballo
Con il termine Video Dance, si intende un tipo di danza moderna energica, vicina più al Modern Jazz che alla danza Contemporanea, molto coreografica, di gruppo, ispirata - come si può evincere dal nome stesso, al balletto tipico dei videoclip, nati negli anni '80.
Ma da dove partì questa fortuna del videoclip?
Il primo che rese il video strumento inscindibile dalla musica, comprendendo la funzione aggregatrice del balletto di gruppo, fu proprio il Re del Pop: Michael Jackson.
Jackson è considerato più di tutti uno dei fautori di un genere molto diverso dalla danza moderna e dalla videodance, l'Hip Hop; questo è certamente vero (se si pensa all'evoluzione che - a partire da Thriller per culminare con Moonwalker hanno compiuto i passi da lui inventati), ma tutto ha origine a partire dal balletto moderno, ed è evidente soprattutto nei primi video, dei quali Thriller è ancora considerato il migliore, il più coinvolgente e il più originale... come dimenticare gli zombie ballerini più famosi della storia della musica! Il video di Thriller (di cui vi proponiamo l'originale... con una sorpresa a fondo dell'articolo by Spaziodanza!), datato 1984, è un vero e proprio concept musical, con una storia (diretta dal famoso regista John Landis) horror che fa da fil rouge ed è pretesto per lo sviluppo della canzone e delle coreografie, ancora oggi strabilianti all'occhio di qualunque ballerino di qualunque età. È impossibile resistere alla zombie dance!
Se da una parte abbiamo il Re del Pop, dall'altra la Regina non è da meno: è inscrivibile nella video dance anche la coreografia che consacrò Madonna come la vera incontrastata imperatrice del panorama musicale degli ultimi trent'anni (e questo continua ad essere valido ancora oggi, grazie alla sua grande capacità di trasformazione e precursione delle mode e dei tempi). Fu con "Vogue", un inno al patinato mondo della moda, che Madonna riuscì a costruire il primo successo virale da coreografia: tutti, in pista, ballavano Vogue al grido di "strike a pose", mettiti in posa.
Ma da dove partì questa fortuna del videoclip?
Il primo che rese il video strumento inscindibile dalla musica, comprendendo la funzione aggregatrice del balletto di gruppo, fu proprio il Re del Pop: Michael Jackson.
Jackson è considerato più di tutti uno dei fautori di un genere molto diverso dalla danza moderna e dalla videodance, l'Hip Hop; questo è certamente vero (se si pensa all'evoluzione che - a partire da Thriller per culminare con Moonwalker hanno compiuto i passi da lui inventati), ma tutto ha origine a partire dal balletto moderno, ed è evidente soprattutto nei primi video, dei quali Thriller è ancora considerato il migliore, il più coinvolgente e il più originale... come dimenticare gli zombie ballerini più famosi della storia della musica! Il video di Thriller (di cui vi proponiamo l'originale... con una sorpresa a fondo dell'articolo by Spaziodanza!), datato 1984, è un vero e proprio concept musical, con una storia (diretta dal famoso regista John Landis) horror che fa da fil rouge ed è pretesto per lo sviluppo della canzone e delle coreografie, ancora oggi strabilianti all'occhio di qualunque ballerino di qualunque età. È impossibile resistere alla zombie dance!
A bissare il successone di Thriller alla fine degli anni '90, con una evidente tribute dance, furono i Backstreet Boys (curiosità: lo sapevate che il nostro ballerino Ivano Bracco li accompagnò sul palco durante il loro tour italiano?) con "Everybody": altro concept horror, arricchito con alcune coreografie ottocentesche ed evidenti richiami al lavoro di dieci anni prima ad opera del Re del Pop.
"Everybody" fa schizzare la boyband in cima alle classifiche grazie soprattutto al video: il ruolo dei clip musicali è ormai quello di aggiungere ai brani qualcosa di più, unendo tre delle sette arti, musica, cinema e danza, in un mix irresistibile e attrattivo.
...E voi, siete pronti a ballare con Mara Berlingeri e Veronica Lepri (a proposito, la state guardando nel corpo di ballo di Colorado ogni lunedì sera?)? Via con la VIDEO DANCE!
[Nel frattempo, la notte di Halloween, a Spaziodanza2...]
martedì 13 novembre 2012
José Limòn, l'evoluzione del movimento
Il movimento fa parte della nostra natura. Come la respirazione, la volontà. Quando portiamo tutte queste cose, che diamo per scontate, a coscienza, le canalizziamo in qualcosa di creativo: nello sport, nell'arte, nella danza. Questo, José Limon, considerato uno dei padri della danza moderna, lo aveva capito bene.
Primo di dodici fratelli, lasciò il Messico che era ancora un bambino per emigrare negli Stati Uniti, la terra delle mille occasioni e del mito del "Self Made Man". Dopo essersi laureato presso L'Università della California, si trasferì a New York, e qui si innamorò. Non di una donna, non di qualcuno: della danza, dell'uomo che si fa movimento.
Iniziò, così, a studiare presso la scuola di Doris Humphrey e Charles Weidman, dove tutto il suo talento venne notato dalla stessa Humphrey che lo incoraggiò a dedicarsi alla coreografia e con la quale, nel 1946, fondò la José Limòn Dance Company. È con Doris che José sviluppò al meglio la sua tecnica, che è alla base della danza moderna e contemporanea ed è conosciuta con il nome di "Tecnica Humphrey-Limòn", concentrata sul movimento indipendente degli arti rispetto al centro del corpo, come "strumenti che compongono un'orchestra".
Di tutte le sue coreografie, la più famosa è la Pavana del Moro, datata 1949 e ispirata all'Otello di Shakespeare, tanto che nel 1969 entrò a far parte del repertorio dell'American Ballet Theatre. L'innovazione fu unire tecnica classica, danza popolare cortigiana del '600 e modern dance americana; Di seguito, vi proponiamo uno stralcio video originale.
lunedì 12 novembre 2012
Le interviste: 2 - La costruzione di una Passione - Serena Loprevite
Serena Loprevite - Foto ©Barbara Picatto |
giovedì 8 novembre 2012
Vai col Liscio!
Forse non tutti sanno che il "Ballo Liscio" è soltanto uno dei diversi tipi di danze che vengono raggruppate nel corso di BALLO tenuto dai maestri Danovaro presso la nostra associazione. Quello tradizionale comprende infatti Valzer Lento, Tango e Fox Trot; esistono però anche il Liscio unificato (Mazurka, Valzer Viennese, Polka), le Danze Latino Americane (Cha Cha Cha, Rumba, Jive, Paso Doble) e i Caraibici (Bachata e Mambo). Questi ultimi si distinguono dalla tipica Salsa Cubana, Venezuelana e Portoricana della quale si occupano Simona Massone e Marco Fanelli.
Sono tanti stili diversi, quelli che deve affrontare un ballerino da sala, insieme alla sua dama.
La fatica è tanta per diventare professionisti, così come è corposo l'impegno; per questo siamo molto orgogliosi di annunciare che, durante l'ultima GARA di BALLO dello scorso 28 OTTOBRE, due delle nostre coppie di agonisti si sono aggiudicati ottime posizioni nella classifica finale:
Coppia COPPOLA - CASERTANO, finalisti nella specialità LISCIO TRADIZIONALE e classificati al 4° POSTO nel BALLO DA SALA;
Coppia GUASCO - GUASTO, classificati al 1° POSTO nella specialità LISCIO TRADIZIONALE e nel BALLO SINGOLO (Fox Trot).
A loro e ai maestri Armando e Nina vanno le nostre più sentite congratulazioni!
lunedì 5 novembre 2012
Chi dorme non piglia pesci
L'anno sportivo si sta assestando bene, debbo dire: i nostri ragazzi della squadra Spaziodanza Ju Jitsu si allenano e vincono, i tangheri vanno alle milonghe, i caraibici mettono salsa dappertutto e le piccole imparano in fretta. Ogni cosa sta piano piano prendendo posto dove deve, come accade dopo ogni estate. Anche chi, come la sottoscritta segretaria, decide che è giunto il momento di mettersi a dieta e perdere il grassoccio in eccesso acquisito durante le vacanze estive. Sono indecisa, ho un sacco di scelta! Certo lo Zumba è molto divertente: una combinazione di aerobica, ritmi latini e danza moderna. Gli esercizi di Lucia sono strutturati per essere alla portata di tutti, spezzati in modo da poter essere assimilati e soltanto dopo ricuciti in una veloce coreografia. Non serve essere ballerini, ma certamente è un modo per non annoiarsi facendo movimento. TANTO MOVIMENTO.
Il Pilates invece è come lo stretching: non si suda, ma bisogna concentrarsi: ogni singolo muscolo risponde al sollecito che vogliamo trasmettergli, ed eseguire in modo sbagliato un esercizio può non portare ai risultati che ci aspettiamo. Per questo Martina è attenta a tutti i nostri movimenti e ci corregge spesso, mostrandoci cosa dobbiamo fare. Scolpire il corpo è un lavoro di sottrazione (in grasso), ma arricchisce in benessere!
Certo, una volta dimagriti bisogna mantenere la forma. E qui mi sa che dovrà entrare in gioco anche Pino, con il suo Total Body Workout (Fitness per gli amici): aerobica e step, addominali e corsa, pesi (mobili) e flessioni... le sue lezioni sono toste, ma funzionano!
Se poi mi dovesse "scappare" di mangiare un muffin in più, potrei sempre fare finta di prendermi a pugni davanti al sacco della Fitboxe con Anna, per cacciare il senso di colpa!
Be', dovrei scegliere... ma prima le provo tutte!
Chi viene con me?
Qui ci sono tutti gli orari! :)
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